Dei romanzi pubblicati da miei amici e conoscenti, “Ho sognato Babilonia” di Silvia Azzaroli è il più corposo, complesso e documentato. Oltre duecento pagine scritte fitte, ma non è solo questione di lunghezza. E’ innanzitutto questione di complessità, di saper intrecciare due vicende parallele che si svolgono in due periodi storici lontanissimi l’uno dall’altro, un lavoro palesemente preceduto da un approfondimento storico ammirevole. E’ questione di profondità psicologica, di saper vedere nel cuore dei personaggi come fossero vivi e veri, e di saper raccontare le loro emozioni, nel bene e nel male. Ed è questione di scrittura, di saper raccontare e, mi si perdoni l’osservazione, anche di saper usare un italiano corretto, una lingua a tratti precisa e attuale, a tratti poetica e sognante.
Mi è capitato di leggere libri tutto sommato simpatici e magari di successo, ma che stringi stringi non sono niente più che storielle divertenti, con personaggi appena accennati e linguaggio sciatto (quando non sgrammaticato) che si vuol far passare per stile svelto e moderno! Purtroppo ho potuto leggere solo recentemente questo romanzo che è del 2010, la prima o una delle prime opere “di peso” della giovane autrice milanese, laureata in Teologia (e nel romanzo si sente sia la sua preparazione sia la sua fede), che si era avvicinata alla scrittura ancora adolescente con racconti di “fan fiction”, cioè ispirati a film o serie tv di successo: un genere che va per la maggiore tra gli appassionati, ma che appunto per questo dev’essere documentato, perché i “geek” solitamente sanno tutto della loro saga del cuore e scoverebbero subito un errore o un’incongruenza (al di là delle personali interpretazioni che sono ovviamente lecite).
“Ho sognato Babilonia” viene definito “un dramma intimistico metà storico e metà attuale… un sogno da vivere”. La trama contemporanea è imperniata su un gruppo di giovani archeologi impegnati a Baghdad durante la Guerra del Golfo: l’italo-francese Cecilie Martinelle, la sua amica del cuore Jacqueline Lanster con il marito Matthew, e l’architetto italo-francese dell’Unesco Samuel Lamont. Attorno a loro, soldati, diplomatici, scienziati, sanitari, gente comune… ciascuno cerca di fare quello che ritiene il proprio dovere e salvare il salvabile in mezzo al turbine della guerra; i diversi punti di vista sono espressi con lucidità, le discussioni tra i vari personaggi impegnati su fronti opposti possono a volte sembrare un po’ pedanti, ma servono a inquadrare il momento storico, la pubblica opinione dei paesi coinvolti, e la psicologia dei singoli.
Se la parte attuale è narrata in prima persona (e al presente) da Cecilie, con flash-back dell’adolescenza a Parigi, a far da contraltare abbiamo la storia del re Nabucodonosor (che “udiamo” dalla voce del narratore) e delle sue figlie Fenena e Abigaille: una versione naturalmente molto diversa da quella elaborata nell’opera verdiana, e in cui spira un anelito alla bellezza e alla pace: “Ci sarebbero state tante altre battaglie. Ma ci sarebbe stato anche altro, lo sapeva. E forse il mondo viveva soprattutto per quell’altro. Non sapeva cos’era quell’altro, ma sapeva che c’era”.
Non manca la storia d’amore, quella delicatissima e struggente tra Cecilie e Samuel, narrata con rispetto e tenerezza, cosa ben diversa dalle sdolcinature. Ma prima di poter “andare avanti”, verso la loro vita insieme, i due giovani rientrati in Italia hanno un altro mostro da affrontare, un peso enorme che Samuel ha sul cuore fin dalla prima adolescenza e che gli impedisce di vivere veramente e di poter essere felice. Occorre un “ritorno alle origini”, una visita sul lago di Como da un’anziana parente, per affrontare ed esorcizzare i suoi demoni. Così, gli ultimi capitoli (narrati da Samuel) si svolgono a Gravedona, luogo ben noto alla giovane autrice, che in parte si rispecchia in Cecilie, nel suo sognare antiche civiltà, ma anche nel suo sentirsi sempre inadeguata, “come se avessi paura di essere al mondo”, e tuttavia sapendo di aver diritto ai propri sogni, alla propria parte di bellezza e di felicità.
Ho amato questo libro, non solo per i meriti intrinseci, e non solo perché mi sono in parte riconosciuta io stessa in Cecilie (e Samuel assomiglia all’uomo che mi sarebbe piaciuto incontrare nella mia vita): ma perché, come Silvia/Cecilie sognava Babilonia, io da ragazzina sognavo Troia. Non è solo passione per la storia, per l’archeologia, per il mito, per la poesia… c’è il tentativo di capire il cammino dei popoli così come il cuore degli uomini, e di ripercorrere le loro tracce, riscoprire ciò che sembra andato perduto, rendere onore alla memoria…
“Ho sognato Babilonia
che si alzava imponente e grandiosa.
Ho sognato Babilonia
splendente di palazzi e misteri.
Cosa sei, Babilonia?
Per alcuni sei la porta degli dèi,
per altri la città del diavolo.
Forse sei solo il sogno di un uomo misterioso:
dolce e crudele, moderno e antico.
Il sogno di un re.”
Silvia Azzaroli, ” Ho sognato Babilonia “, Arduino Sacco Editore, Roma 2010